03_07_2012| UNIVERSITA’, L’IDEA: IL DOTTORATO IN AZIENDA DI ERALDO GIUDICI (PDL)

Martedì, 03 Luglio 2012

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UNIVERSITA’, L’IDEA: IL DOTTORATO IN AZIENDA DI ERALDO GIUDICI (PDL)


Doccia gelata” in “commissione bollente”. Così descrive Eraldo Giudici (Pdl) l’appuntamento consiliare di ieri, un focus sull’università con una novità: quella dell’estensione del numero chiuso a tutte le facoltà, dunque anche a economia sin dall’anno accademico che sta per partire.


«Nonostante il resoconto positivo dell’esperienza universitaria riminese, purtroppo soggetta al ridimensionamento dell'Alma Mater Studiorum, si è reso evidente anche qui qual'é il problema reale delle nostre università: il deficit di rapporto tra mondo del lavoro e quello universitario».


Sì, ma cosa c’entra il numero chiuso?
«Occorre – si spiega Giudici - piuttosto che ‘numeri chiusi’, costruire un rapporto virtuoso tra pubblico e privato, che favorisca la sperimentazione all’interno delle imprese locali, attraverso ‘progetti pilota’, nei settori chiave della nostra economia, dello sviluppo tecnologico e dell' innovazione, di modo che con la promozione pubblica si sostenga attivamente lo sviluppo del territorio in forma sussidiaria e circolare».


Sì, ma come? Giudici ha uno “schema”.
«Gli enti pubblici siano promotori di innovazione con l'erogazione di risorse. L'Università sia garante del supporto scientifico e della qualità dei progetti. Le aziende beneficiarie compartecipino alla redazione e ai costi di progetto».


Il consiglierepropone anche un progetto pilota ad hoc, quello dei “Dottorati in Azienda”.
«Le aziende con contributi pubblici a progetto, assumono un ricercatore, che lavora in esse per parte del tempo, il resto in Università a fare ricerca avanzata. Il dottorato viene pagato per metà dall’azienda e l’altra metà dall’ente pubblico, che decide di finanziare i programmi per favorire l’innovazione tecnologica e la ricerca nelle imprese del proprio territorio. Il controllo di qualità e la ricerca sono svolti in convenzione con l’Università».


E’ questo, secondo Giudici, «un modo non assistenzialista, che può contrastare il ‘trend migratorio’ dei nostri giovani laureati ed anzi attirare ‘cervelli’ da fuori, in un ciclo virtuoso che, come succede all'estero, nel tempo, può portare significativi benefici alla nostra comunità e alla sua economia».